Chi siamo noi? Perché stiamo su questa terra? Cosa c’è dopo questo mondo? Esiste davvero un Dio? E se sì, è Qualcuno o Qualcosa che è fuori … o, come molte filosofie dicono, è già dentro di noi?
Siamo venuti a questo mondo con molte domande come queste nell’animo, e un percorso di vita a tempo determinato per rispondere. Ma … abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci guidi, che ci aiuti a trovare una risposta, mentre la realtà che ci circonda ci invia milioni di stimoli che toccano soltanto la materialità dei nostri sensi.
In questo Caos primordiale ci chiediamo: Chi o Cosa è veramente Dio? Il sentimento di un “quid trascendente” vive da sempre nell’uomo e preesiste a qualunque sistematizzazione religiosa (“è la religione che vi ha fatto allontanare da me, che vi ha fatto odiare Dio”, viene detto su questo palco), e in questa messa in scena trova finalmente un punto vivo, una possibilità di essere esperito vitalmente, in modo umano, in una dimensione dove sembra divenire possibile “avvertire l’esistenza di un Assoluto, che non è fuori di noi, ma profondamente in noi” (cit. Intendere l’Umana Sofia di Pirandello)
Del resto, come dice Pirandello, questa “è la tragedia dell’anima moderna, e bisogna farla discendere dal palcoscenico tra questo pubblico”. E questo è ciò che fa Luca Papa con la sua Opera D’IO.
“Mi dicono sempre che non do una risposta … con quest’Opera ho voluto dare la MIA risposta” sottolinea Luca Papa, al termine della prima di D’io, in scena fino al 27 maggio presso il Molinari Art Center di Roma. Opera, come la definisce lui, perché in effetti non si tratta di semplice “spettacolo”, ma di una sperimentazione ben costruita dell’autore e dei suoi 14 performisti, ciascuno con una spiccata personalità e con delle peculiarità personali, alla faccia del teatro Accademico che tende ad appiattire tutto e tutti in nome del “bel parlare” e della gestualità composta.
“Il teatro ha stufato, porta in scena solo monologhi, parlare parlare in continuazione, Buongiorno Mr Marple, Salve a lei Mrs Marple” scherza Luca Papa, spiegandoci il suo percorso. Infatti il suo scopo, con il Progetto Nonavanguardia, e con la compagnia di giovani in scena, si prefigge di andare oltre alla parola, e cercare di stimolare il pubblico, di farlo riflettere, anche di “stressarlo”, per usare le parole del regista e ideatore di D’io. Ed in effetti noi del pubblico siamo “stressati” sin dal principio, quando veniamo condotti dalle maschere di fronte ad alcune figure in tunica, pronti per essere “giudicati”, pronti per dare una risposta a una domanda, e in base a quella essere portati a sedere alla sinistra o alla destra di D’io, come sarà alla fine dei tempi.
“Dobbiamo scegliere, o è bianco o è nero” afferma Luca Papa, convinto; perché, in effetti, viviamo in un’epoca ed in una società che ci costringono a vivere di vie di mezzo, laddove siamo troppo in basso per aspirare alle stelle, e troppo sospesi per precipitare. Ma perché questo? Bisogna risalire al principio di tutto … ed iniziare da Adamo ed Eva, dal serpente rivestito di glitter che li tenta con la sua suadente musica (interpretato dal notevole talento di Toto Ponticelli la cui hell dance fa pensare ai movimenti sinuosi del Serpente del film Piccolo Principe del ‘74), dal frutto proibito che porta una Conoscenza dolorosa ma forse necessaria, e che però allontanò l’Uomo da D’io, precipitandolo nella confusione della vita, ma generando al contempo la vita stessa, la discendenza umana.
Ed ecco che dalla sofferenza di Eva nascono Caino e Abele, nascono quel Bianco e Nero che ci mettono di fronte, ancora una volta, ai nostri peggiori difetti e ai nostri migliori pregi, ed entrambi a vederli lì sul palco ci fanno sentire nudi, come i primi uomini. La rabbia di Mosè (interpretato da un intenso Alessandro Pascuzzo) ci riporta finalmente ad una dimensione che possiamo comprendere, ci dà delle regole, e se le rispettiamo … potremo tornare ad avvicinarci a D’io. Un Dio temuto, ma bramato, allontanato eppure ardentemente desiderato, un Dio che rifiutiamo ma che nel cuore ci manca … come l’Amore, perché l’alfa e l’omega in fondo sono amore … Agape, come sussurra D’io. Un Dio interpretato “divinamente”, è il caso di dirlo, da Alberto Brichetto, giovane attore pure già consumato, che si pone come presenza rassicurante benché temibile, che guida la vicenda o forse solo assiste in rispetto del libero arbitrio umano, e che pure alla fine, ancora una volta … ci tende la mano. Io, ieri, l’ho afferrata.
di Chiara Alivernini
D’Io
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