Al Teatro Italia l’intreccio tra passione e potere in un classico del teatro shakespeariano
La scena è cupa, immobile, decadente… gli attori si alternano rendendola vivace e mai stancante, pur nella sua staticità. La lussuria è la prima immagine che accoglie lo spettatore: due ancelle si guardano, si sorridono, si sfiorano, quasi si baciano.
Sono le ancelle di Cleopatra che accompagnano la loro padrona ed interagiscono con lei. La chiave interpretativa è evidente sin dall’inizio, si tratta di una tragedia d’amore, i ruoli interpretati dagli attori non potranno fare a meno di questa evidenza. E’ per questo motivo che Antonio sarà sempre straziato dalle pene d’amore che spesso ruberanno la scena alla sua proverbiale fedeltà a Roma e alla sua forza in battaglia, così come Cleopatra non sarà mai vera regina, bensì donna innamorata e preda continua di passioni e timori che la porteranno ad essere follemente dedita al suo amato e parallelamente ambigua e spaesata. Né l’uno, né l’altra saranno mai carichi di quel fascino che le cronache storiche riportano, bensì saranno evidenti i loro limiti nei quali brancoleranno senza mai giungere ad una soluzione… entrambi sofferenti e uniti, in fondo, anche in questo. Tre sculture a terra di cui una raffigurante un mezzobusto, gettato sul fondo del palco, sono il simbolo di quella decadenza della quale questa rappresentazione è completamente intrisa. Si tratta, infatti di un momento storico molto particolare per Roma… L’incontro di due culture è spaesante. Due mondi così differenti non possono interagire, è evidente che l’uno debba prevalere sull’altro, come impone la legge del più forte che da sempre determina il corso degli eventi. Ma di ciò pare non rendersi conto Marc’Antonio che prende sotto il suo controllo le zone mediorientali dei territori romani, ne diventa una sorta di re autoproclamato, e dona a Cleopatra, regina sottomessa di un popolo sottomesso, la giurisdizione del territorio da lei governato un tempo… è l’inizio della fine dell’ equilibrio fragile del Triunvirato formato da Ottaviano, Lepido e Marc’Antonio. La stessa legge del più forte invade ora Roma… la lotta tra i triunviri è inevitabile e si concluderà, ancora una volta, con la vittoria del più forte, Ottaviano, che diventerà il primo imperatore dell’Urbe eterna, donando quarant’anni di pace al suo impero. Ma le sorti di Roma sono palesate marginalmente. La tragedia sottolinea l’aspetto emotivo contrapposto alla professionalità; il potere e la gestione politica di un territorio agli stravolgimenti passionali di un amore straziato. Shakespeare propone un dilemma antico che pare non avere mai trovato soluzione nel corso dei secoli: il potere politico e la scaltrezza gestionale di un popolo e l’armonia di un sentimento amoroso completo ed esaustivo… come se la certezza di una cosa compromettesse l’altra. Molto indovinata la gestione della scena e l’utilizzo degli attori: riproporre il testo pressoché originario e la durata piuttosto lunga dell’opera complessiva, potevano essere limiti problematici, ma la realizzazione delle numerose scene nei due atti rappresentati risulta essere una soluzione felice per tenere alto l’interesse dello spettatore sulla vicenda narrata. L’accompagnamento musicale, seppur leggermente troppo alto in alcuni momenti, enfatizza positivamente i contenuti. Gli interpreti principali Francesco Branchetti (Antonio e contemporaneamente regista dello spettacolo), Isabella Giannone (Cleopatra), realizzano un’ interpretazione nello stesso tempo tradizionale ed innovativa, seguendo l’impostazione shakespeariana resa più fruibile ed adatta ad un pubblico attuale. Molto interessanti la realizzazione dei ruoli di Ottaviano, ad opera di Riccardo Leonelli e di Enobarbo, interpretato da Vincenzo Schirru, che aggiungono valore e spessore a questa rappresentazione globalmente di ottimo livello.
di Svevo Ruggeri
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